Per puro caso in settimana mi è capitato di vedere due film francesi recenti: Tutti per uno (Les mains en l'air) del veterano, ex sessantottino e godardiano Romain Goupil e Tomboy, scritto e diretto dalla giovane Céline Sciamma, al suo secondo film.
Il primo è una sorta di favola fantapolitica a tesi, che mette in scena la fuga e la rivolta di un gruppo multietnico di ragazzini parigini, al fine di proteggere e nascondere una loro compagna di scuola cecena, sans-papier a rischio espulsione.
Il secondo è il delicato e intenso ritratto di una preadolescente alla ricerca della propria identità sessuale, che si spaccia per maschio davanti ai suoi nuovi amici.
I due film sono interessanti, originali, rigorosi (più il secondo del primo, a mio avviso). Seppure molto diversi tra loro, hanno qualcosa che li accomuna e che me li ha fatti amare particolarmente.
Si tratta di una peculiarità tipicamente francese, forse legata all'eredità di François Truffaut e del suo folgorante film d'esordio I 400 colpi (Les Quatre Cents Coups): in entrambi i film i bambini non sono protagonisti osservati da uno sguardo adulto, ma diventano “soggetto” della rappresentazione. È loro il punto di vista, e l'autore non osserva i bambini agire o parlare (come spesso succede in tanti film americani, dai capolavori di Spielberg al divertente “Super 8”) ma “diventa” il bambino che agisce, parla e fa le sue scoperte, con spontaneità e senza psicologismi. In questo modo si crea una forte empatia e una totale adesione con il mondo interiore dei piccoli protagonisti, i loro turbamenti e la loro emotività a fior di pelle.
Questa “via francese” al mondo dell'infanzia, se realizzata con maestria, pudore e sensibilità, mi stupisce e mi emoziona ogni volta.
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