I tempi sono duri, durissimi. Gli orizzonti appaiono limitati e sfuocati. Ed è pure scomparso l'ultimo dei grandi visionari contemporanei. Orfani di un paese civile, dell'ottimismo dell'Occidente e di Steve Jobs, non ci resta che aspettare l'arrivo di qualcosa di bello e di buono. Un cupcake, per esempio.
Anche in Italia è scoppiata la moda per questi coloratissimi e dolcissimi dolcetti monoporzione di origine americana. Dai blog ai TVshow culinari, dalle ricette dei trend setter alle foto di decorazioni e vetrine scovate in giro per il mondo, la cupcakemania, figlia golosa della grande crisi contemporanea, dilaga e fa sempre nuovi proseliti.
Tutto ciò che è bello (kalòs) è anche buono (agathòs), diceva Platone, e un cupcake rassicura e ci fa stare bene, forse perché è una delle poche tentazioni legali che ci possiamo ancora permettere.
Anche grazie al tam tam dei creativi e a reality show come “Il boss delle torte”, la pasticceria statunitense, così pannosa, appariscente ed esagerata, è stata sdoganata anche in Italia, terra di solide e celebrate tradizioni dolciarie.
Però un cupcake è qualcosa di diverso. Non è soltanto un trionfo di cromie, zucchero e colesterolo. Specie quando è reinterpretato secondo l'arte e la sensibilità europea (e italiana), diventa davvero una piccola oasi di felicità per gli occhi e per il palato.
E nell'epoca della condivisione, un cupcake è il dolce anti-wiki per eccellenza: ogni manufatto è dedicato a una sola bocca e a un unico gaudente. Va assaggiato e goduto in perfetta solitudine, senza sentirsi in colpa per lo spudorato egoismo del gesto!
Un'amica sta per aprire a Torino una bakery specializzata in cupcakes. Forse riusciremo ad affrontare con un po' di speranza e di ottimismo in più la nebbia (autunnale ed esistenziale) che ci aspetta. Tanti auguri Claudia!
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