uno scatto ogni tanto

venerdì 23 dicembre 2011

happy12!

mercoledì 9 novembre 2011

Non sono Sokurov che...


Bisogna essere un po' pazzi e masochisti per andare dopo una lunga giornata di lavoro, da soli, a piedi sotto la pioggia battente, senza cena né caramelle in tasca, a vedere il Faust di Alexander Sokurov (134').
Non sono un devoto della poetica visionaria e solenne del grande regista russo amico di Eltsin, autore dello straziante (e funereo) Madre e Figlio e dello sperimentale (e ipercerebrale) Arca Russa.
Non sono un incondizionale della sua celebrata “tetralogia del potere” di cui Faust è l'ultimo capitolo, dopo gli spietati ritratti dedicati a Hitler (Moloch, bellissimo), Lenin (Taurus, noiosissimo), Hiro Hito (Il Sole, non pervenuto).

Ma come lasciarsi scappare il Leone d'Oro dell'ultimo Festival di Venezia, assegnato da una giuria unanime e in deliquio? Come perdersi il film del momento, destinatario di così tante palline, stelline, recensioni entusiastiche, nonché di tutti i sinonimi dell'aggettivo “sublime”?
Ci sono andato, lo ammetto, con lo spirito devoto e leggermente intimorito del pellegrino non allenato, che prima di cominciare il Cammino di Santiago mette la confezione di Compeed nello zaino e spera che vada tutto bene.

La visione, tra l'altro, è stata in parte rovinata e in parte “drammatizzata” da una sorta di psicodramma avvenuto durante la proiezione, in un cinema d'essai nella piazza più aristocraticamente salottiera del centro di Torino: una spettatrice dal severo look parigino è stata prima minacciata verbalmente e poi aggredita fisicamente (con una bottiglietta d'acqua e a mani nude) da un gruppo di spettatori esasperati dalla sua abitudine - di certo intellettuale, ma invero fastidiosa - di illuminare con una torcia fortissima il bloc notes sui cui prendeva appunti, squarciando ripetutamente il buio della sala.

Non nascondo che la luce nervosa della torcia, la rissa scoppiata e poi domata, le urla sparse (davvero diaboliche, in coerenza semantica con il film) hanno dato alla mia visione un surplus di emotività e di disagio, ma anche una partecipazione ancora più concentrata e intensa a questo horror esistenziale d'autore che – come tutti gli horror – più lo respingi e più ti attrae, più lo senti lontano e insostenibile, e più ti entra dentro.

Come si sa, Faust rilegge uno dei miti fondativi della cultura tedesca: quella del dottor Faust, appunto, il medico affamato di conoscenza, ma anche di potere, denaro e bramosia sessuale, che finirà con il vendere l'anima al diavolo.

Il film è ispirato soprattutto al Faust di Goethe, capolavoro assoluto della letteratura tedesca, di cui prende ambientazioni e argomentazioni filosofiche.
In scena, infatti, c'è un piccolo e sporco villaggio tedesco ottocentesco, abitato da un'umanità dolente: poveri cristi che si schiacciano l'uno contro l'altro, donne ignoranti e uomini violenti, soldati che tornano dal fronte, malati e moribondi dappertutto. In mezzo a questo angolo abbrutito d'occidente - quasi un presagio di una società avida e impoverita da una drammatica crisi finanziaria - si muove il dottor Faust, interpretato con energia e talento dall'attore tedesco Johannes Zeiler: sempre inquieto, curioso, filosofeggiante, affamato e vorace, insonne, avido di sapere, iperattivo, senza soldi. 

All'inizio (dopo un bel prologo poetico con uno specchio che fluttua sopra le nuvole di un cielo tempestoso) lo vediamo praticare un'autopsia su un cadavere maschile squartato e già decomposto. Anzi, del cadavere si vede prima di tutto – e in primo piano - il pene grigiastro, forse per simmetria simbolica con l'immagine, verso il finale, del dorato cespuglietto pubico della giovane Margarethe, addormentato oggetto d'attrazione del medico, a quel punto già definitivamente corrotto.

Con spudorata ambizione, scenografie povere ma accurate e una fiducia totale nei mezzi espressivi del cinema tradizionale, Sukurov conferisce a Faust un'umanità fragile e fin troppo carnale, una triste consapevolezza del male che è in ciascuno di noi, una perenne insoddisfazione esistenziale che appare molto contemporanea.
Attorno a lui si muove – come in un incubo di Cronemberg, un girone dantesco o un quadro di Bosch - un'umanità ammassata, esasperata, putrescente, se non già morta. 

In questo contesto, illuminato da una lugubre fotografia verdastra, anche Mefistofele non ha la terribile grandezza del male assoluto. Anzi, è un mediocre usuraio, uno squallido faccendiere deforme, con il pene attaccato al sedere. Il patto è scellerato, ma vale poco (qualche moneta, un'unica notte d'amore, per altro non consumata, con la giovane e lucente Margaretha) ed è inevitabile: anche la tentazione diabolica non è vista come un atto eccezionale, a suo modo eroico, ma è solo la conseguenza logica di una condizione umana ai minimi termini. Non a caso, infatti, davanti alla bottega del diavolo c'è la fila, e tutti sono disposti a piccole e grandi corruzioni.

Ragionamenti forbiti sull'anima e le sue caratteristiche, dubbie pratiche ospedaliere, funerali suggestivi come una rappresentazione ronconiana, una passeggiata tra boschi incantati che diventa un lungo corteggiamento morboso, il viso gonfio di una lunare e irriconoscibile Hanna Schygulla, pediluvi nelle ortiche, calzini sporchi annusati con maliziosa sapienza fetish, creature diaboliche mascherate che appaiono all'improvviso, un finale tragico e quasi romantico tra crepacci e fumanti geyser islandesi... 

Se si è disposti ad accettare tutto questo e a non perdersi tra i dialoghi altissimi e in mezzo a tanta immaginifica devastazione, la ricompensa è alta. O per lo meno, originale e assortita. Serve altro?



martedì 8 novembre 2011

Olympic London


In questi giorni le profezie Maya sulla fine del mondo sembrano meno bislacche del solito e pensare al 2012 scoperchia scenari fantascientifici. Tra una catastrofe possibile e un evento certo, però, forse è più piacevole immaginare quest'ultimo. Specie se si tratta delle Olimpiadi.

Dal punto di vista della comunicazione visiva, ammettiamolo, Londra 2012 è partita con il piede sbagliato. A chi è piaciuto il logo ufficiale, presentato in pompa magna da Blair & Co? Sembra a pochissimi, a leggere i commenti sui vari blog e network sociali. 

Chi non ha avuto – almeno per un attimo – la magra consolazione del “tutto il mondo è Paese” quando si è palesata al mondo la complicata composizione geometrica tutta rosa che forma le 4 cifre dell'anno olimpico (e che si può leggere come un incongruamente biblico “Zion”)? 
 
La data dell'inaugurazione si avvicina e qualche nuvola scompare all'orizzonte. 
Dopo l'identità visiva, infatti, in questi giorni sono stati presentati i manifesti ufficiali dei Giochi Olimpici e Paralimpici di Londra 2012. E a prima vista, i risultati sembrano più in linea con la tradizione grafica made in UK: più colore, più fantasia, più impatto, più fermento creativo. Forse, si registra soltanto un po' di confusione arty e qualche preziosismo snob di troppo.
Tra gli artisti - illustratori ci sono alcune celebrità, da Tracey Emin a Michael Craig-Martin. Cosa ne pensate?

A chi interessa, i manifesti sono esposti e in vendita in edizione limitata alla Tate Britain durante il London 2012 Festival.

mercoledì 26 ottobre 2011

Straziami, ma di baci saziami

E' proprio vero, ognuno deve trovare il proprio modo di esprimersi...
Imparate da Natalie Irish che crea le sue opere d'arte con i baci.
Sì avete capito bene, la talentuosa ragazza compone immagini di personaggi famosi a colpi di baci!
Incredibile, chi sa quante case produttrici di rossetto le faranno la corte!


martedì 25 ottobre 2011

Il senso di Lars per la Melancholia

La depressione secondo Lars Von Trier si chiama Melancholia, come il titolo della celebre incisione cinquecentesca di Durer, come la "bile nera" dei medici dell'antica Grecia, come un film crudele e pastoso, apocalittico e confuso, elegantissimo e senza speranza, che inizia come "Festen" e finisce come una versione bergmaniana e intima di "Armageddon".

Melancholia è il nome di un pianeta in rotta verso la Terra, che nello scontro, presto la distruggerà.

"Melancholia" è il diario filmato di un depresso geniale. La sua terapia diventa - forse - una condanna per gli spettatori: angoscia, lentezza anticlimax, confusione, un mix apparentemente insensato di silenzi allarmanti e Wagner sparato a tutto volume.

Se si superano una serie di ostacoli, però, alla fine c'è una ricompensa emotiva e filosofica. Immagini che resteranno, inquadrature affascinanti e sapienti, pensieri alti, domande esistenziali che spiazzano e suscitano reazioni.

"Melancholia" è meno disturbante di "Antichrist" e più massimalista di "Dogville". Naturalmente, le imperdonabili sparate filonaziste del regista all'ultimo Festival di Cannes hanno fatto un cattivissimo servizio al film, che si nutre di disagi e malessere, ma anche di una provocazione davvero autentica e interessante.

Il film è diviso in tre parti. C'è un breve prologo visionario e anticipatore, che attinge da inquietanti suggestioni pittoriche della storia dell'arte, tra Fiamminghi e espressionismo. Seguono i due capitoli dedicati alle due sorelle protagoniste. La bionda infelice e la bruna razionale. La sposa intorpidita e senza volontà e la moglie e madre aggraziata e fragile. La figlia minore che ride ma sembra altrove, attorcigliata intorno al suo dolore indicibile e la sorella maggiore che accudisce e organizza, ama e odia, si ribella e ubbidisce.

C'è una sontuosa festa di nozze in una dimora altrettanto sontuosa affacciata sul mare scandinavo. C'è una limousine bianca che va fuori strada, presagio di una serie di catastrofi successive. C'è un wedding planner isterico (e con il ghigno di Ugo Kier), un cognato scienziato ricchissimo, cafone e positivista (Kiefer "24" Sutherland, disturbante come il padre nei film degli anni '70), un padre gaudente e bigamo, una madre sprezzante e anticonformista (con i lividi occhi di ghiaccio di Charlotte Rampling), invitati molesti, un datore di lavoro vendicativo, uno sposo innamorato e comprensivo che alla fine non ce la fa e se ne va. C'è il palpabile disagio di una donna che nel giorno in cui dovrebbe essere massimamente felice, protagonista e oggetto di troppe aspettative borghesi, si nasconde, cade addormentata, gioca con il nipotino, scopa con uno a caso, si rifugia tra le ombre e i ricordi di un'infanzia che presumiamo difficile e triste.

Ma la malinconia individuale della sventurata e quasi veggente Kirsten Dunst (brava e coraggiosa, con la sua bellezza nordica, i movimenti sgraziati e i lineamenti da bambina paffuta) si trasforma nel secondo capitolo nella minaccia sempre più concreta della "melancholia" universale: il bel pianeta azzurrino che minaccia la Terra, inesorabile e pericoloso nonostante gli scienziati minimizzino i rischi.  Protagonista qui è la sorella Claire (Charlotte Gainsbourg, alla seconda prova consecutiva con Von Trier, impeccabile, vibrante ed elegantissima anche nei momenti di massima disperazione), l'anima assennata e per bene della famiglia, attanagliata dalla paura per il futuro.

Il suo terrore inutile e vano - così comprensibile, così umano - diventa la chiave per entrare nel cuore del pessimismo sul mondo e sull'umanità che il film presenta e crudelmente impone. Ma se il mondo borghese crea solo sofferenza e crudeltà, se i riti sociali sono frequentati soltanto da maschere grottesche, se la Terra brucerà, se l'umanità è destinata all'estinzione, forse solo i pazzi (o i depressi) avranno il privilegio di vivere tutto questo con uno stato d'animo pacificato, lucido e in qualche modo eroico.

lunedì 24 ottobre 2011

Claudia Lotta :: Sweet Designer

ph. Simone Piccirilli

Semplice! firma l'immagine della backery della sweet designer Claudia Lotta, inaugurata proprio lo scorso sabato.
Dolci belli e buoni, provare per credere...
Via Bonafous 7 -  Torino

www.claudialotta.it 

venerdì 21 ottobre 2011

Lo voglio più grande!


Impossibile non condividere questo link!
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martedì 18 ottobre 2011

confusione...

mercoledì 12 ottobre 2011

Tra amore e morte


Un'altra riflessione metacinematografica, che prende spunto da uno dei passaggi più toccanti e spiazzanti del famoso (e in questi giorni citatissimo) discorso di Steve Jobs del 2005 ai laureandi di Stanford:

(…) La morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della vita. È l’agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo.

In un attimo, si ribalta il concetto di fine e di lutto, per immaginare una rinascita e un'ulteriore dimensione della morte, più vicina alla scoperta che alla tristezza.
Condizionato da questi pensieri, ho assistito alla proiezione di L'amore che resta (Restless) diretto da Gus Van Sant, l'ultimo dei romantici indie, amato cantore dell'inquietudine giovanile americana.

Come forse saprete, il film – piccolo, raffinato, realizzato su commissione – è di quelli che, se si legge la trama, andrebbero evitati come la peste, potenzialmente menagrami e depressivi. 
In breve: l'amicizia e l'amore tra una giovane, elegante e bellissima malata terminale (la lattea e delicata Mia Wasikowska, la sorella australiana che Alba Rohrwacher non sapeva di avere) e un altrettanto giovane dandy (interpretato dal figlio di Dennis Hopper), che è ritornato alla vita dopo tre mesi di coma e che passa il tempo a imbucarsi ai funerali di sconosciuti poiché ha mancato quello dei suoi genitori.
Insomma, tutto lascia presagire a un “Love Story 2.0”, a un'ondata di lacrime, colpi bassi, trappole emotive e ricatti sentimentali.

Invece, L'amore che resta non fa che riprendere - vestendole di delicatezza lo-fi e di qualche simpatica leziosità – alcune suggestioni del testamento spirituale di Steve Jobs. 

Potenza delle coincidenze? Condizionamenti personali? Inopportune riflessioni in libertà?
Non lo so. Ma a volte è bello e utile approfittare di piccoli segnali che ci arrivano dal'esterno per fermarsi, pensare, immaginare. 

 

lunedì 10 ottobre 2011

Les Enfants du Paradis


Per puro caso in settimana mi è capitato di vedere due film francesi recenti: Tutti per uno (Les mains en l'air) del veterano, ex sessantottino e godardiano Romain Goupil e Tomboy, scritto e diretto dalla giovane Céline Sciamma, al suo secondo film.

Il primo è una sorta di favola fantapolitica a tesi, che mette in scena la fuga e la rivolta di un gruppo multietnico di ragazzini parigini, al fine di proteggere e nascondere una loro compagna di scuola cecena, sans-papier a rischio espulsione.
Il secondo è il delicato e intenso ritratto di una preadolescente alla ricerca della propria identità sessuale, che si spaccia per maschio davanti ai suoi nuovi amici.

I due film sono interessanti, originali, rigorosi (più il secondo del primo, a mio avviso). Seppure molto diversi tra loro, hanno qualcosa che li accomuna e che me li ha fatti amare particolarmente.

Si tratta di una peculiarità tipicamente francese, forse legata all'eredità di François Truffaut e del suo folgorante film d'esordio I 400 colpi (Les Quatre Cents Coups): in entrambi i film i bambini non sono protagonisti osservati da uno sguardo adulto, ma diventano “soggetto” della rappresentazione. È loro il punto di vista, e l'autore non osserva i bambini agire o parlare (come spesso succede in tanti film americani, dai capolavori di Spielberg al divertente “Super 8”) ma “diventa” il bambino che agisce, parla e fa le sue scoperte, con spontaneità e senza psicologismi. In questo modo si crea una forte empatia e una totale adesione con il mondo interiore dei piccoli protagonisti, i loro turbamenti e la loro emotività a fior di pelle.

Questa “via francese” al mondo dell'infanzia, se realizzata con maestria, pudore e sensibilità, mi stupisce e mi emoziona ogni volta. 



venerdì 7 ottobre 2011

Fenomenologia del cupcake


I tempi sono duri, durissimi. Gli orizzonti appaiono limitati e sfuocati. Ed è pure scomparso l'ultimo dei grandi visionari contemporanei. Orfani di un paese civile, dell'ottimismo dell'Occidente e di Steve Jobs, non ci resta che aspettare l'arrivo di qualcosa di bello e di buono. Un cupcake, per esempio. 
 
Anche in Italia è scoppiata la moda per questi coloratissimi e dolcissimi dolcetti monoporzione di origine americana. Dai blog ai TVshow culinari, dalle ricette dei trend setter alle foto di decorazioni e vetrine scovate in giro per il mondo, la cupcakemania, figlia golosa della grande crisi contemporanea, dilaga e fa sempre nuovi proseliti.

Tutto ciò che è bello (kalòs) è anche buono (agathòs), diceva Platone, e un cupcake rassicura e ci fa stare bene, forse perché è una delle poche tentazioni legali che ci possiamo ancora permettere.

Anche grazie al tam tam dei creativi e a reality show come “Il boss delle torte”, la pasticceria statunitense, così pannosa, appariscente ed esagerata, è stata sdoganata anche in Italia, terra di solide e celebrate tradizioni dolciarie.

Però un cupcake è qualcosa di diverso. Non è soltanto un trionfo di cromie, zucchero e colesterolo. Specie quando è reinterpretato secondo l'arte e la sensibilità europea (e italiana), diventa davvero una piccola oasi di felicità per gli occhi e per il palato.

E nell'epoca della condivisione, un cupcake è il dolce anti-wiki per eccellenza: ogni manufatto è dedicato a una sola bocca e a un unico gaudente. Va assaggiato e goduto in perfetta solitudine, senza sentirsi in colpa per lo spudorato egoismo del gesto!

Un'amica sta per aprire a Torino una bakery specializzata in cupcakes. Forse riusciremo ad affrontare con un po' di speranza e di ottimismo in più la nebbia (autunnale ed esistenziale) che ci aspetta. Tanti auguri Claudia


 

mercoledì 5 ottobre 2011

Beautiful City, Sexy Butt


Questa campagna affissioni (quattro soggetti) divertente, originale e visivamente raffinata la dedico a chi – come me – nell'ultimo mese ha pestato più di cinque “ricordini canini” camminando, pedalando e correndo per le vie del centro. Anche in infradito e con le suole a carro armato. 
Solidarietà creativa!

La dedico anche ai pet owners poco diligenti o distratti: se vi piegate così per raccogliere e pulire, anche Torino, come Belgrado, può diventare più sexy!
McCann Erickson colpisce ancora, anche in Serbia.





lunedì 3 ottobre 2011

Autunno, cade la musica


Non ci siamo ancora ripresi dalla notizia di dieci giorni fa sulla decisione dei R.E.M. di “call it a day as a band”, che arriva l'amato Ivano Fossati ad annunciare, a sorpresa e in TV, il suo pre-pensionamento: quello in uscita sarà l'ultimo album, e dopo il tour 2011/2012 finirà anche l'attività live, almeno nelle forme tipiche dei concerti organizzati.

Conoscendo la serietà di Fossati, mi pare che questo addio alle scene, così lucido e semplice, non lasci spazio a incertezze o cambi di programma dell'ultimo minuto.

Amo sia i R.E.M. che Fossati da tanto, tantissimo tempo: le loro canzoni mi accompagnano da sempre. Non mi hanno regalato soltanto good vibrations, ma anche nuovi universi culturali, inediti stimoli, occasioni di crescita, ispirazioni e - non ultimo - piacevolissimi e importanti incontri umani.
La notizia che non potrò più assistere a un loro concerto né ascoltare un album o una canzone nuova (con tutto quel groviglio di aspettative ed entusiasmo che spesso portano con sé), inevitabilmente mi rende un po' triste e un po' orfano.

Però, sono anche contento e fiero di seguire con passione artisti tanto coerenti, coraggiosi, indipendenti: uscire di scena con classe e coraggio, nel pieno delle loro potenzialità e facoltà creative, non è da tutti. 

Quanti artisti, non solo nel campo della musica, avremmo voluto che si fossero fermati prima? Quanti di loro stanno impolverando una storia gloriosa con un presente poco dignitoso? Se chiediamo alla politica un sacrosanto ricambio generazionale (e io non sono né giovane, né giovanilista), quanto sarebbe opportuno e salutare avere anche un ricambio delle risorse creative? Quanti “venerati maestri” sono diventati dei totem inattaccabili e inamovibili?
Ringraziando Ivano Fossati e la band di Athens per quanto di bello e di buono hanno fatto, condivido dal tubo due canzoni paradigmatiche delle rispettive carriere e che sento particolarmente vicine.



venerdì 30 settembre 2011

La biblioteca fantasma


Quando entrate in una grande biblioteca o in una libreria antica, magari all'estero, provate una forte emozione, come se il tempo si fermasse? Siete stati suggestionati – come me – dall'immagine del “Cimitero dei libri dimenticati” descritta da CarlosRuiz Zafón ne “L'ombra del vento”? Allora dovete dare un'occhiata alla strana e affascinante lista di libri di invislib.blogspot.com .
Se tutti i libri segnalati in questo blog prendessero posto in una grande libreria da parete, gli scaffali resterebbero completamente vuoti.

Creato nel 2007 da un editore e da un romanziere di New York, entrambi lettori accaniti e appassionati di strane corrispondenze tra libri, autori e citazioni, questo elenco in continuo aggiornamento presenta soltanto “libri fantasma”. Libri che non esistono, neanche su amazon.com o presso oscuri magazzini di remainders.

Di cosa si tratta? Di titoli e di volumi citati e descritti in altri romanzi. Questi ultimi, invece, reali ed esistenti! Buona scoperta e buona meta-lettura!

giovedì 29 settembre 2011

True Colors


“True colors are beautiful like a rainbow” cantava Cyndi Lauper negli spensierati Ottanta. Ora viviamo tempi assai più cupi, ma possiamo finalmente scoprire e mostrare i “veri colori”. Anche quelli di cose e concetti che un colore non ce l'hanno. La nostra immaginazione magari associa un rosso intenso agli scatti di rabbia e un verde brillante alla speranza. Da oggi però è possibile ampliare i nostri orizzonti cromatici utilizzando il generatore di colori www.thecolorof.com
Alla base c'è l'enorme archivio iconografico di Flickr. Il software del sito sovrappone le immagini trovate e indicizzate per trovare la palette del nome ricercato. È divertente e sorprendente scoprire quali sono i colori di Berlino, del sesso, della primavera, della musica...

venerdì 29 luglio 2011

Summer Fake


Un'installazione artistica curiosa e adatta alla contigenza. La trovate qui, pubblicata su www.feeldesain.com: cosa c'è di più emblematico di un simulacro di piscina per esprimere l'estate che non c'è, la vacanza sognata, il fascino ambiguo del verosimile, l'inganno del benessere post-industriale e il desiderio di protezione e di fuga in un amniotico blu? 

Però, a fine luglio, mentre l'Italia e il mondo sembrano perdere pezzi e buonsenso, anche un finto tuffo in una finta piscina potrebbe procurare un vero sollievo. Come l'aria condizionata in assenza delle Dolomiti attorno.

Con queste riflessioni a bordo vasca, questo blog va momentaneamente in apnea.
Grazie Anne per la segnalazione!

A presto! E un augurio a tutti di tuffi reali e nuotate unplugged.

giovedì 28 luglio 2011

Nerd Pride


Lo spartiacque, forse, è stato Steve Jobs, un “Nerd with attitude”. Il guru globale degli Anni Zero ama le linee armoniche e l'estetica degli oggetti almeno quanto un designer berlinese Übercool. Oppure il film The Social Network, che ha dato umanità e una grandezza shakespeariana a Mark Zuckerberg.

Dopo di loro, la riscossa. Per fortuna, infatti, nerd che agli occhi del mondo diventano cool ce ne sono sempre di più. Anche nei famigerati e machisti videoclip hip-hop americani, sembra che i pettorali oliati e gli atteggiamenti da gangster impuniti lascino un po' di posto a timidi occhialuti, ballerini sgraziati e aggressive ma sexy coriste sovrappeso. 

Chi non ama Paul Giamatti e Philip Seymour Hoffman, grandiosi e perfetti anche nei loro film meno riusciti? Chi non solidarizza con i protagonisti di Glee (insegnanti compresi) e con i secchioni sfigati di The Big Bang Theory? Chi non trova irresistibile Tina Fey e non ammira allo stesso modo il talento eccentrico di Toni Collette e il personaggio tragicomico e disturbante che interpreta in United States of Tara

Anche i bravissimi prezzemolini del cinema italiano delle ultime tre stagioni, Giuseppe Battiston e Alba Rohrwacher, non piacciono forse anche un po' per il loro aspetto irregolare e non omologato? Cioè, in definitiva, per la loro magnetica e cinematica nerdery?

Ho fatto queste riflessioni non fondamentali dopo aver visto la gallery della fotografa Heather Landis, pubblicata su visualnews.com. La sua idea: rendere iconiche, glamour e senza tempo i ritratti di varia umanità nerd. Una curiosità: i modelli delle foto sono attori che interpetano sorridenti finti sfigati digitali. A volte basta un paio di occhiali fuori misura per evocare un mondo. Grazie Francesca!
Via visualnews.com


mercoledì 27 luglio 2011

Priceless


Ci sono cose che non hanno prezzo. Ce lo hanno insegnato a scuola. Ce l'hanno ricordato gli amici più illuminati e le nostre guide spirituali. Ce lo ribadiscono periodicamente gli spot Mastercard.
Nell'elenco sempre più ristretto dei priceless items ci sono, naturalmente, sentimenti universali (amore e dintorni) e beni primari come l'aria che respiriamo (dell'acqua, nonostante i referendum italiani, non sarei così sicuro). Sappiamo invece che tutto il resto ha un costo. I costi della politica, i costi della democrazia, i costi della libertà... Per non parlare dei costi necessari ad avere un'informazione libera e indipendente e di quelli – salatissimi – che devono essere sostenuti per cambiare il mondo, possibilmente in meglio.
Di tutto questo si occupa questo spot di fund raising, il cui protagonista è l'uomo più discusso e più emblematico del 2010. Ogni riferimento alla comunicazione Mastercard non è puramente casuale.
Grazie Claudio “Hank”! 
Via turn.to.it

martedì 26 luglio 2011

Artificial (Intel)ligence


Sarà vero che i social network e i dispositivi digitali user-friendly stanno lentamente colmando il divario tra geeks e non geeks, tra esperti informatici e semplici essere umani? Quella barriera culturale che impedisce - per capirci - una completa fusione comunicazionale tra un qualunque sviluppatore web under 30 e un copywriter ultraquarantenne che è già tanto se riesce a portare a buon fine il downloading di un app sul suo smartphone.

Il nuovo spot per il lancio del nuovo processore Intel® Core™ (un vero geek scriverebbe, più precisamente, la seconda generazione del processore i5) potrebbe dare un valido contributo al quesito. Lo vedete qui. Mi è stato segnalato, a distanza di poche ore, da un super geek del ramo reti informatiche (la casta più esclusiva, i Templari del digital divide) e da un graphic designer fieramente analogico. 
L'idea è, secondo me, divertente e geniale: utilizzare un archetipo dei film d'azione (l'inseguimento) e ambientarlo in una serie di piattaforme e contesti digitali che sono familiari alla maggior parte degli utilizzatori di pc. 

I geek ne sono estasiati. Non solo perché lo hanno scoperto loro, ma anche perché alla prima visione riescono ad anticipare le sequenze successive e magari a visualizzare i codici dei programmi utilizzati per realizzarlo. I non geek ne ammirano invece la raffinata contestualizzazione, la sapiente resa in immagini, il ritmo e la valenza empatica.
A volte basta poco per dare uno scossone alla torre di Babele digitale.
Grazie Matteo, grazie Alessandro!

lunedì 25 luglio 2011

Un po' di quiete dopo la tempesta


Per tre giorni il mondo è sembrato impazzire. La strage di Oslo, così violenta e inaspettata, ha dato una massiccia verniciata di nero su umori e speranze.

L'arte e la poesia non hanno fatto diventare l'umanità più saggia e pacifica. Però, a volte, hanno offerto minimi squarci di serenità, piccole luci nel buio.
Chissà se anche questo contributo made in Scotland potrà fungere da lenitivo esistenziale.
È l'incontro tra i colori e le forme di un grande illustratore contemporaneo, Lesley Barnes, e le note delicate dei Belle and Sebastian. La raffinata band indie-pop di Glasgow ha scelto il concittadino Barnes per la realizzazione del videoclip della versione remix di “I didn't see it coming”. La canzone fa parte dell'album “Write about love” (2010). Il video lo potete vedere qui. Un condensato di poesia in movimento, impalpabile magia, senso di meraviglia e originalità. Grazie Luisella!
Via designerblog.it

venerdì 22 luglio 2011

Siamo tutti animali


Il WWF compie 50 anni. Per festeggiare mezzo secolo di impegno nella salvaguardia della Natura, cominciato in tempi meno green (o green-washed?) di quelli attuali, il World Wide Fund for Nature ha lanciato un video istituzionale che sta facendo il giro del mondo e del web. Lo potete vedere qui.

Tra etologia, "Koyaanisqatsi" e Terence Malick, lo spot è interessante ed empatico, a tratti poetico.
Non so per quale processo del pensiero, ma in qualche modo mi ricorda la saggezza sorridente di Konrad Lorenz con le sue amate oche selvatiche negli storici documentari in bianco e nero che passavano in tv quando ero piccolo (molto piccolo!).

Il pericolo dell'autocelebrazione compiaciuta dell'ente ambientalista più famoso del mondo è quasi scampato, mentre gli eterni temi della bestialità umana o dell'umanità bestiale portano inedite suggestioni al nostro fin troppo ricco immaginario. (Grazie Greta!)

giovedì 21 luglio 2011

All'inizio


Lui è un cantautore elettropop francese dalla faccia buffa e dal nome simpatico: Alex Beaupain.
È l'autore delle musiche dei film di Christophe Honoré, tra cui quelle dello struggente “Les chansons d'amour” (1997), un omaggio fresco e disinibito alla Parigi della Nouvelle Vague e ai film musicali di Jacques Demy, con la loro finta innocenza in technicolor.
Qui però voglio segnalare una canzone e – soprattutto – un videoclip.
Si chiama “Au départ”, è tratto dall'album “Pourquoi mon coeur battait” e secondo me è bellissimo. Lo potete vedere qui.
Un'animazione semplice e colorata, icone prestate dall'infografica, ironia e inventiva, stilismi raffinati, trionfo del 2D, poesia per immagini... Il tutto per raccontare, in contemporanea, una storia d'amore e di disillusione privata e la storia della Sinistra francese dal trionfo di Mitterrand alle elezioni del 2002 con lo “scampato pericolo” Le Pen. Suggestivo, vero?

mercoledì 20 luglio 2011

La vita è troppo corta




(per il lavoro sbagliato).
Non è una primizia e molti di voi l'avranno sicuramente già vista e commentata. Però questa campagna pubblicitaria multisoggetto dedicata a una società che si occupa di domanda e offerta di lavoro sul mercato locale, mi piace particolarmente perché:
- è tedesca! (E non anglosassone o coreana o brasiliana, o di un altro Paese superpremiato a Cannes e dintorni)
- affronta con leggerezza e pragmatismo uno dei problemi più drammatici e discussi dell'Europa contemporanea (anche se in Germania la disoccupazione e l'insoddisfazione di precari e job-searcher non sono paragonabili alle nostre)
- è divertente ed efficace, anche grazie a uno stile fotografico iperrealista, molto anni Novanta
- tutti e 10 i soggetti funzionano (e non è affatto scontato), creando un mood coerente e d'impatto
- sembra quasi anacronistica nella sua "essenza analogica". Nessun link, nessuno "share this", nessun rimando digitale.





lunedì 18 luglio 2011

Un “semplice” saluto per cominciare.

Ciao!

Un “semplice” saluto per cominciare.
Questo ciao è dedicato a lettori e interlocutori che per ora sono solo immaginari.
Noi speriamo che poco per volta si trasformino in qualcosa di reale, in una varia e simpatica umanità. E magari che diventino tanti. E che ci leggano con curiosità, dandoci spunti interessanti e divertenti.
In questo spazio vogliamo condividere ispirazioni e informazioni legate all'impalpabile e indefinibile mondo della creatività.
L'ennesimo blog dedicato al design, alla pubblicità, alla coolness digitale? Difficile fare di più o di meglio di ciò che la rete offre in abbondanza. A noi interessa piuttosto fare da collettori e divulgatori di lampi e idee originali, così come le abbiamo trovate o ci sono state segnalate, tra social network e quotidiana serendipity.

Ecco, ci siamo. Si comincia!